L'attaccamento

L’attaccamento alla sofferenza

 

L’attaccamento alla sofferenza. Esiste? Davvero? Sì, certo che esiste ed è spesso la causa di un malessere più o meno profondo e a cui a volte non riusciamo a dare un nome. La maggior parte di noi lo ha sperimentato (o lo sperimenta ancora) e riconoscerlo non è sempre facile, soprattutto considerando che prenderne consapevolezza comporta anche il dover andare oltre i giudizi e i pregiudizi. Da parte di altre persone, ma anche da parte nostra perché, che ce ne rendiamo conto o meno, a volte sappiamo essere giudici e carnefici di noi stessi in maniera molto più crudele di quanto facciano gli altri.

 

Una donna come tante: Giuliana

 

Chi è Giuliana? Giuliana è la protagonista del mio ultimo romanzo, LETTERE A UN AMORE RUBATO, ed è la sua storia che mi ha fornito lo spunto per questo articolo.

 

L'attaccamento alla sofferenza

 

Giuliana è una donna come tante: ha tradito ed è stata tradita, ma soprattutto ha amato. È una donna e tante donne insieme, forse per certi versi è una sorta di archetipo e non è un caso che molte lettrici – ma anche tanti lettori – mi abbiano scritto in privato dicendomi di essersi ritrovati in lei, nel suo percorso, nella sua sofferenza o in una parte di essa.

Leggendo la storia ci addentriamo in una caverna buia dove risuonano la collera, il dolore, lo strazio, la sete di vendetta e la nostra protagonista, per la prima volta nella sua vita, affronta questi “mostri” a viso aperto, senza fuggire, come solo la disperazione più cupa e il senso di annientamento permettono di fare. [N.d.A. Come nel romanzo SENZA PIÙ NOME, anche qui ricorre il tema dei “mostri” da combattere e non mi dispiacerebbe confrontarmi con voi sulle similitudini e sulle differenze tra queste due “guerre”.]

 

Quanto bisogna soffrire?

 

Man mano che Giuliana racconta la sua storia, sono certa che ognuno di voi si sia chiesto: “Ma cosa aspettava? Perché è dovuta arrivare a farsi così male? Ma non poteva farlo prima?”.

Forse sì… o probabilmente no. Ognuno di noi ha un temperamento, una personalità (no, non sono sinonimi, ma se mi scrivete e mi dite che l’argomento vi interessa, lo approfondisco in un altro articolo), un vissuto in cui l’ambiente e l’educazione legati alla famiglia d’origine si intrecciano alle esperienze di vita. Ognuno di noi ha sperimentato, chi meno e chi molto di più, situazioni di disagio e sofferenza e, spesso, il tema ricorrente è la ripetizione, la circolarità di una vita e di una serie di esperienze che finiscono per farci vivere e rivivere quel dolore all’infinito, quasi ci trovassimo in un labirinto. Cambia la situazione in sé, cambiano gli “attori”, cambia il tempo, eppure ci ritroviamo a soffrire sempre per lo stesso motivo.

Al di là di tutta una serie di spiegazioni psicologiche che non è mia competenza fornire, ciò che mi balza agli occhi è in questi casi proprio il concetto di attaccamento alla sofferenza. Molti degli schemi che usiamo per interagire con il mondo nell’età adulta non sono altro che l’adattamento a nuove circostanze di schemi risalenti per lo più all’infanzia, di quelli che abbiamo usato di più perché magari ci permettevano di ottenere in cambio la risposta che in quel momento appagava il nostro bisogno nella maniera migliore (o meno peggiore, a seconda delle circostanze).

 

La coperta di Linus

 

Abbiamo scartato quelli che all’apparenza non servivano e ci siamo specializzati in quelli che ci fornivano una risposta: abbiamo così creato la nostra zona di comfort, il nostro rifugio, la nostra tana con la coperta di Linus sempre a disposizione. All’interno ci sentiamo sicuri, protetti e poco importa se è una prigione che ci causa sofferenza, l’idea di uscire fuori da quegli schemi, di buttarci praticamente nel vuoto, al buio, senza nessun tipo di appiglio, ci causa una tale angoscia, ci destabilizza a tal punto nelle nostre certezze che preferiamo stare al caldo sotto la nostra coperta che rischiare per qualcosa che ci è del tutto ignoto e che non sappiamo a quale eventuale sofferenza potrebbe esporci.

Forse oltre ciò che ci dà sicurezza c’è solo un prato coperto di margherite con gli uccellini che cinguettano o magari c’è un burrone. Poco importa, il rischio è troppo alto e un po’ di sofferenza nota, conosciuta, amica, ci pare un prezzo abbastanza equo da pagare.

 

L’attaccamento alla sofferenza come unica scelta possibile… o no?

 

Anche Giuliana è rimasta aggrappata alla sofferenza. Finché questa non ha tracimato. Finché non si è sommata a tutta quella pregressa, finché non l’ha portata a fondo con un macigno di roccia come zavorra. A volte è così che succede: pensiamo di non poterne sopportare di più, ma l’asticella che segna il limite continua a spostarsi in alto ancora e ancora. Ma un limite c’è e una volta superato, non ci sono molte possibilità: o ci lasciamo annientare in maniera definitiva o l’istinto primordiale alla vita prevale, ci liberiamo della zavorra e torniamo a galla, sfinite, con i polmoni che bruciano, ma vive.

A questo punto siamo pronte ad affrontare i “mostri”. Così ci mettiamo davanti a uno specchio, nude, per guardarci realmente. Quel che vediamo a questo punto non ci piacerà e la collera divamperà come un incendio di proporzioni immani e brucerà tutto. Ma solo se c’è la morte ci può essere altra vita, è una legge di Madre Natura. Dobbiamo lasciar morire una parte di noi perché un’altra possa nascere e dare nuovi frutti, altrimenti finiremo per trasformarci in una pianta sterile.

E se ciclo Vita/Morte/Vita deve essere, se trasformazione deve essere, quale percorso migliore di quello alchemico che richiede la morte (putrefazione) e poi il fuoco (la collera) per arrivare alla nuova vita? Solo così la sofferenza (piombo) può diventare oro (consapevolezza). Solo così potremo essere libere.

 

Ringraziamenti

 

Per questo articolo ringrazio Giuliana per quanto mi ha insegnato perché mi accorgo solo al termine della stesura di un libro del grande dono che ogni personaggio ha in serbo per me. E ringrazio di cuore la Dottoressa Antonia Maggi, brillante psicoterapeuta e carissima amica perché ogni chiacchierata con lei è un arricchimento prezioso da cui scaturiscono poi tanti spunti di riflessione.

Con il cuore, sempre Elisabetta Barbara De Sanctis cuore

Elisabetta Barbara De Sanctis firma