8 marzo

8 marzo e io sono indignata

 

Non so voi, ma oggi è l’8 marzo e io sono indignata e anche parecchio.

La situazione della donna, a seconda della latitudine e della cultura di appartenenza, si colloca su un continuum che va da difficile a straziante. Però noi festeggiamo l’8 marzo e io sono indignata. Come ogni anno da che ne ho memoria.

Festeggiamo.

Festeggiamo?

 

Cosa? Il fatto di essere donne? Un evento determinato al momento della fecondazione quando lo spermatozoo ha portato in corredo il cromosoma sessuale X invece di quello Y? Be’, allora l’avrebbero potuta chiamare festa del cromosoma o festa dello spermatozoo, no? Al limite, proprio a voler lavorare di fantasia, festa delle femmine. Ma festa della donna no. No, punto. Non adesso. Non ancora.

Molti oggi ricordano quella che è la ricorrenza legata a questo giorno, per cui non lo farò. Avete letto di quello che è successo per un numero di volte pari a N*S*X, dove N sta per gli anni di presenza sui social, S per il numero di social che seguite e X è la variabile legata a quanti dei vostri contatti hanno pubblicato quei riferimenti storici. Credo sia sufficiente, se ancora non l’avete imparata e continuate a porgere e/o a volere gli auguri, chi sono io per farvi riflettere sul fatto che è una ricorrenza, una commemorazione e non una festa?

 

Nessuno…

 

Nessuno, io sono nessuno. Ma voi siete di coccio però… A seconda del genere di appartenenza, vi ricordate altezza e peso di tutti i giocatori di serie A presenti nell’album Panini del 1936 o delle sfumature del colore delle guance di Candy Candy quando finalmente lei e Terence si baciarono, ma questo proprio no. Va be’, d’altronde il cervello e le connessioni neuronali sono ancora in parte un mistero.

Allo stesso modo scelgo di non evidenziare la straziante sequenza di femminicidi e di non ricordare che in gran parte del mondo vige ancora la tortura dell’infibulazione e che le donne sono considerate peggio delle bestie, buone solo come incubatrici della razza. Anche quello lo sapete, almeno spero.

 

8 marzo

 

E allora di che scrivo?

 

“Non farlo”, potrebbe rispondere qualcuno e toglierei pure il condizionale. Ma se siete qui, se state leggendo un motivo ci sarà. E io qualcosa da dire ce l’ho, d’altronde questo spazio è il mio angolo di megalomania, la vetta della collinetta di sabbia da cui amo dire ciò che penso. Con indignazione a volte, con ironia e persino con sarcasmo, dipende dall’argomento e non dal mio ciclo mestruale (stereotipo davvero duro a morire). E sì, ce l’ho ancora il ciclo, non ho alterazioni ormonali di sorta, sono nata proprio così.

Le violenze, i soprusi, le discriminazioni sono fratelli tra loro e sono figli di questi genitori: l’ignoranza e il rifiuto. Non sono nati oggi, nemmeno ieri, ma hanno avuto millenni di tempo per strutturare un tessuto culturale e sociale e per farlo hanno usato ogni mezzo possibile. La vedo dura cambiare in un giorno o in un anno. Ma da qualche parte bisogna cominciare e qualcosa è già iniziato, piccoli germogli spuntano ovunque, solo che sono pochi quelli che riescono a farcela e allora tocca a chi è un po’ più avanti sulla strada accendere una candela simbolica e aiutare a fare un po’ di luce.

 

Che fare?

 

Se il problema è legato a una matrice socio-antropologica e culturale, è lì che bisogna andare per cambiare le cose. Non c’è altra soluzione. Se poi vogliamo limitarci solo a indignarci sui social quando leggiamo una notizia che ci sconvolge, ma non siamo disposti a fare qualcosa, allora quello è un altro discorso. Però non dimentichiamoci una preghiera perché non capiti a noi o a qualcuno che amiamo e speriamo per il meglio.

Chi vive sperando, muore cagando! Lorusso, isoletta dell’Egeo che non conta un cazzo, 1941… sono anche un autore! (Lorusso) – cit. dal film Mediterraneo

Il problema è alla base

 

Ed è difficile pensare di risolverlo così, schioccando le dita o scribacchiando delle righe. Però gli studi fatti, il tempo e l’esperienza mi hanno insegnato alcune cose e mi hanno portata a riflettere anche tanto. Provo a sintetizzare alcune di queste riflessioni – che poi sono il mio personale punto di vista–  con tono volutamente leggero, chissà se sarete d’accordo con me. E non parlerò se non marginalmente di uomini, bensì parlerò di donne perché il primo vero ostacolo al cambiamento siamo noi.

Per me le donne si dividono in due categorie, accomunate solo ed esclusivamente dalla presenza di una coppia di cromosomi sessuali XX nel codice genetico.

 

La prima categoria

 

La prima è facile da riconoscere.

Prendete alcuni individui con una coppia di cromosomi sessuali XY. Reali o virtuali, poco importa, ma studi scientifici dimostrano che se sono virtuali è meglio e se usano foto con fruste e manette e/o abiti di classe possibilmente con gemelli ai polsi e/o auto sportive e se sorseggiano qualche liquore gran riserva meglio ancora. Presi? Bene. Sistemateli da qualche parte e allontanatevi. Se fumate, non farete in tempo a estrarre la sigaretta dal pacchetto per ingannare l’attesa che l’esperimento inizierà, lo capirete da un numero variabile di appartenenti alla categoria che inizierà a girare attorno ai suddetti individui come fanno gli squali attorno alla preda. In tondo.

Qualcuna sovvertirà le leggi di natura facendo la ruota come un pavone maschio, altre useranno tutte le loro arti per affascinare e ammaliare, altre ancora saranno più dirette e attaccheranno subito, giocando sul fattore sorpresa per spiazzare la concorrenza. Quale che sia però la tattica iniziale, non passerà molto prima che inizino a sbranarsi e azzannarsi per contendersi l’osso, finché “ne resterà solo una”. Sì, proprio come in Highlander.

Piccola parentesi: che poi osso non è visto che l’oggetto del contendere è costituito principalmente da una struttura di tipo vascolare e guaine di tessuto fibroso poco elastico. Ci siamo capiti, sì? Non fatemi fare il disegnino…

Questo schema sarà replicato in ogni ambito sociale e personale, spesso mascherato ad arte dietro facciate ben strutturate. Se appartenete alla seconda categoria – di cui tra poco vi parlerò – e incontrate una della prima, vi do un consiglio: scappate. Di voi farà mangime per i pesci (e non me ne voglia Freud se mi è venuto da scrivere “pesci”, ma tanto se avessi usato il termine “uccelli” il risultato sarebbe sempre lo stesso).

 

La seconda categoria

 

La seconda categoria è più eterogenea, meno prevedibile quanto a schemi di comportamento, espressività, carattere e aspetto. Ma lunghe ricerche scientifiche e studi clinici condotti in doppio cieco hanno evidenziato alcuni tratti comuni tra le appartenenti alla categoria in esame:

  • non usano mai epiteti sessisti verso un’altra donna, pur invidiandola per eventuali risultati raggiunti (sono umane, non aliene);
  • non pensano che essere donne per genetica spalanchi loro porte e portafogli e le scarpette che portano non sono di vetro e le indossano da sole, al limite aiutandosi con un calzante;
  • non permettono (più) a nessuno – uomo o donna che sia – di decidere come vestirsi, se lavorare, se sposarsi, se fare figli, varie ed eventuali;
  • non permettono altresì (più) a nessuno di stabilire qual è il massimo di partner sessuali a cui hanno diritto per tutto l’arco della loro esistenza né di essere chiamate “zoccole” o “puttane” – e sinonimi vari – se tale numero è ≥ 1 (2 solo se si è vedove o separate per grave colpa altrui);
  • se sono fidanzate e/o sposate non si annullano, ma sanno conservare la propria individualità e le proprie amicizie e i propri spazi;
  • se hanno figli non si sentono madri indegne per il solo fatto che si sono prese del tempo per una doccia, per una manicure o per una serata con le amiche o per mantenere il proprio lavoro invece di rinunciarvi;
  • conoscono il senso e l’importanza della solidarietà e del sostegno tra donne;
  • non considerano donne indegne o madri indegne tutte quelle che non rientrano nei propri schemi. Allo stesso modo, non sono le prime a ritenere e dire “l’ha data” o “l’ha succhiato a qualcuno” a ogni donna che non sia casalinga, operaia o semplice segretaria oppure “se l’è cercata” se una donna molestata o stuprata non vestiva con una tunica claustrale e non era a casa a fare la calzetta.

 

Per concludere…

 

Tale elenco è puramente esemplificativo e non esaustivo, ma una cosa è certa: a quelle della prima categoria farete gli “auguri” per l’8 marzo. Di quelle della seconda avrete paura o vi farete beffe se siete ominidi con una coppia di cromosomi sessuali XY. Le ammirerete e le amerete se siete Uomini e, cosa più importante, le considererete un esempio, per voi e per il mondo.

Con il cuore, sempre Elisabetta Barbara De Sanctis cuore

Elisabetta Barbara De Sanctis firma