Di quando in quando, lascio quella porta accostata e non chiusa, per stare, ma non troppo, non abbastanza e, comunque, stare, semplicemente stare, senza chiedermi dove né perché. Le domande, proprio le domande, sono quelle parti di me che ho dismesso per prima, stanca di portarle sempre appresso come se qualcuno mi avesse obbligato a farlo, puntandomi il dito contro o anche solo in silenzio ché è proprio dal silenzio che aleggiano i ricordi intrisi di condizionali e futuri ghermiti dal principio e non lasciati mai, mai, mai, respirare.
Però è lì ogni parola sospirata, immaginata, poi ingravidata di sangue. Non quello che urla, ma quello che resta, dentro. Quello a cui è vietato di mostrarsi. Delle ferite che non ci sono, ma che, proprio per questo, vivono, solcano, strisciano, si nascondono: tutto pur di ricordarti che sono e sempre saranno parte di te.
Così ho smesso di oppormi. Sembrava così difficile, ma in realtà tutto sembra tale prima: prima che ci pensi, che decidi, che fai. Ho smesso. Non sono andate via le parole, eppure ne sento il minor peso, il minor dolore. Sono, loro, dove io sono. Sono, loro, ciò che io sono. È questa la mia unica verità. La mia conquista. Il mio soffio di vita.
Con il cuore, sempre.